Nel capitolo 10 dell’Apocalisse Giovanni descrive un’immagine impressionante: un angelo gigantesco poggia un piede sulla terra e uno sul mare e proclama solennemente: “non ci sarà più tempo!”
Questa potente immagine merita un’analisi approfondita (che per vostra comodità troverete sul mio libro), ma oggi, essendo il giorno di capodanno, vorrei fermarmi solo sulla frase che pronuncia. Capodanno infatti, inevitabilmente, ci ricorda il tempo che passa.
Uno dei doni più belli portati dal Cristianesimo al mondo è il tempo lineare. Nel mondo pagano infatti il tempo è ciclico, ovvero tutto è destinato a ripetersi in modo sempre uguale, non c’è nulla di nuovo sotto il sole e le stagioni si succedono immutabili. In questa prospettiva nessun vero cambiamento può accadere, nessuna redenzione, nessuna salvezza è possibile. La vita, il mondo, l’uomo sono questa roba qua e sono destinati ad esserlo per sempre, eventuali cambiamenti sono al massimo variazioni sul tema. La noia esistenziale, quella di Sartre, è la conseguenza inevitabile di questo modo di vedere e ci sono bellissime pagine letterarie che stan lì a raccontarlo, penso ad esempio al “dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere” di Leopardi.
Ma il grido dell’angelo spezza questa circolarità!
Se il tempo ha una fine allora ha anche un fine, un’orientamento, un senso, che Giovanni ci rivela essere l’ingresso nella Novità del Dio che dice “faccio nuove tutte le cose” (Ap. 21,5). Dio non fa cose nuove, ma rende nuove quelle vecchie, le fa passare cioè attraverso la morte e la Risurrezione, rendendole così pasquali. Nel vocabolario di Giovanni nuovo è quasi sinonimo di risorto. Cosa significherà vivere in una famiglia risorta, in una città risorta, in un mondo risorto? Questa è la fine del tempo, nel duplice senso che ha in Greco la parola telos, che significa sia termine che compimento.
Molti vivono come se il loro tempo fosse infinito, come se ci fosse sempre una seconda chance, un’occasione per rimediare. Nella percezione di tanti new ager anche il mito (tristissimo e disperante nella sua origine induista) dell’alternarsi delle reincarnazioni finisce con l’assumere questo valore. Ma, poiché il tempo ha una fine ed un fine, le occasioni che ci sono offerte non sono infinite e la vita quindi va presa terribilmente sul serio, perché ogni opportunità che ci offre è irripetibile. Ogni istante così diventa unico ed irripetibile e si carica di un valore infinito. Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, recita la saggezza cristiana, perché nel presente e solo nel presente si gioca ogni tua possibilità.
Cosa c’entra tutto questo con i botti di capodanno? C’entra, c’entra moltissimo, perché stanotte ci saranno due feste: una quella di chi cercherà di esorcizzare l’angoscia di un tempo che si ripete sempre identico a se stesso, o degli anni che fuggono via, l’altra quella di chi celebrerà l’approssimarsi del Giorno.
Come nella bella canzone di Dalla “L’anno che verrà”, l’esplosione dei fuochi di artificio contiene una preghiera muta e in molti inconscia, infatti sperare che il domani sia migliore significa in ultima analisi ammettere che è sottratto alle nostre mani, che dipendiamo da un Altro, che molti chiameranno il caso (ma non si vede perché celebrare allora), ma che per noi resta la Provvidenza del Padre, che ci guida verso una fine che non è solo una fine, ma un compimento.
Domani saremo di un anno più vicini al compimento della nostra vita, è davvero una buona ragione per far festa! A tutti quindi i miei migliori auguri