04 Ottobre 2022 Festa di San Francesco d’Assisi Patrono d’Italia

Assisi, Perugia, 1182 – 3 ottobre 1226

Francesco nacque ad Assisi nel 1182, nel pieno del fermento dell’età comunale. Figlio di un mercante, da giovane aspirava a entrare nella cerchia della piccola nobiltà cittadina. Per questo ricercò la gloria tramite le imprese militari, finché comprese di dover servire solo il Signore.

PREGHIERE A SAN FRANCESCO D’ASSISI

Si diede quindi a una vita di penitenza e solitudine in totale povertà, dopo aver abbandonato la famiglia e i beni terreni. Nel 1209, in seguito a un’ulteriore ispirazione, iniziò a predicare il Vangelo nelle città, mentre si univano a lui i primi discepoli. Con loro si recò a Roma per avere dal papa Innocenzo III l’approvazione della sua scelta di vita. Dal 1210 al 1224 peregrinò per le strade e le piazze d’Italia: dovunque accorrevano a lui folle numerose e schiere di discepoli che egli chiamava “frati”, cioè “fratelli”. Accolse poi la giovane Chiara che diede inizio al Secondo Ordine francescano, e fondò un Terzo Ordine per quanti desideravano vivere da penitenti, con regole adatte per i laici. Morì la sera del 3 ottobre del 1226 presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. È stato canonizzato da papa Gregorio IX il 16 luglio 1228. Papa Pio XII ha proclamato lui e santa Caterina da Siena Patroni Primari d’Italia il 18 giugno 1939. I resti mortali di colui che è diventato noto come il “Poverello d’Assisi” sono venerati nella Basilica a lui dedicata ad Assisi, precisamente nella cripta della chiesa inferiore.

Patronato: Italia, Ecologisti, Animali, Uccelli, Commercianti, Lupetti/Coccin. AGESCI

Etimologia: Francesco = libero, dall’antico tedesco

Emblema: Lupo, Uccelli

Martirologio Romano: Memoria di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra.

APPROFONDIMENTO

LA VITADella nascita di Francesco non si conosce con certezza né il giorno, né il mese e neppure l’anno. Comunemente, si accetta il 1182 come anno della sua venuta al mondo. Sia alla nascita che al fonte battesimale, il padre Pietro di Bernardone dei Moriconi, era assente, e la madre, la nobil donna Pica Bourlemont, d’origine provenzale, gli mise il nome Giovanni. Al ritorno dal viaggio di lavoro in Francia, il padre lo chiamò Francesco. Era una famiglia della borghesia nascente della città di Assisi.
Riceve la prima formazione in famiglia, specialmente dalla madre Pica, molto devota e pia. Intorno ai 6 anni frequenta il primo grado di istruzione per 5 anni. Vi si insegnava a leggere e a scrivere non solo in latino (la propria lingua), ma anche in francese; a cantare inni liturgici e salmodia; e anche a misurare secondo i non facili calcoli del tempo. E molto probabile, invece, che, per la sua elevata condizione economica e per assicurarsi una qualsiasi apertura alla vita sociale o alla carriera militare, Francesco abbia frequentato anche un corso di formazione superiore, presso qualche abbazia vicina.

La crisi
Prima del crollo definitivo di un progetto, c’è sempre un barlume di speranza, in cui l’uomo resta completamente solo con sé stesso, solo con la propria ambiguità, solo con l’essere di cui non si è potuto realizzare. Alla prima occasione, riemerge all’improvviso un guizzo dell’ideale desiderato. La campagna antimperiale, promossa dal papato nell’Italia meridionale, offrì a Francesco la possibilità di arruolarsi, per il raduno in Puglia. Così, tutto impettito nella lussuosa armatura militare a cavallo, e con profonda commozione e vivida speranza, prese commiato dai suoi cari in pena, dagli amici invidiosi e dalla ridente città natale. Il viaggio della speranza durò un sol giorno: nella tappa-sosta di Spoleto.

Episodio di Spoleto
Che cosa è accaduto? Difficile dirlo. Solo congetture.
Le Fonti ricorrono al soprannaturale con l’espediente della visione in sogno. Altre ipotesi: un improvviso riacutizzarsi della malattia; qualche dispetto di commilitone; la riflessione sulle finalità dell’arruolamento per guadagno e non per ideale; un ripensamento sull’inutilità della guerra per risolvere i problemi sociali… Questi e altri pensieri avranno turbinato nell’animo di Francesco, durante la prima notte della sua avventura militare. Il ritorno inatteso e solitario fa scalpore in Assisi. Un mormorio di curiosità e di dicerie passa di porta in porta e da bocca a bocca. I genitori assoporano l’amarezza della delusione. Francesco è provato dalle contrastanti emozioni, da cui si sente circondato dentro e fuori casa.
Al rientro da Spoleto, divenne più riservato solitario e taciturno, ma anche più attento alle esigenze degli altri e più prodigo verso i poveri. Cominciò a percepire una maggiore sensibilità verso la caducità della vita e delle cose. Questo “distacco” gli permetteva di essere libero-da e dare un diverso gusto alla vita, con uno spiccato bisogno interiore di stare solo con sé stesso e di abbandonare ogni altra occupazione. Onde, la ricerca di luoghi solitari e impervi. Al distacco dalle cose, Francesco aggiunse anche il “silenzio” dalle cose, aprendosi all’origine della loro esistenza, tanto da provocare in lui profonda gioia interiore, e contribuire a dimenticare anche le precedenti sofferenze. Nel cuore di Francesco era tornato la gioia: aveva trovato il segreto che lo rendeva “libero” da ogni cosa e “aperto” a ogni realtà.

Bacio al lebbroso
Ne è un esempio l’episodio del “lebbroso”. Nel contado di Assisi erano abbastanza evidenti i segni della guerra: lutti miseria malattie carestia disordine morale… La mancanza di adeguate strutture per la prima assistenza concreta costringeva alcuni ad “arrangiarsi”, girovagando per le campagne deserte, in cerca di qualcosa per sopravvivere o per tranquillizzare l’animo esacerbato dalla lotta fraterna tra ricchi e poveri. Disumana, invece, era la condizione del malato di lebbra, lasciato solo con sé stesso in balia del suo male. In un momento della sua crisi, Francesco si aggirava per le campagne in cerca di tranquillità interiore, e si incontrò con un lebbroso. Superata l’istintiva ripulsa, lo abbracciò e gli consegnò il denaro che possedeva. Con questa nuova gioia, fece il pellegrinaggio a Roma, in S. Pietro, come “finto” povero.

Preghiera al Crocifisso
Ai piedi del Cristo crocifisso, per es., la preghiera si trasformò in contemplazione, fino all’immedesimazione: Francesco si trovava come sospeso tra la profondità della sua psiche e la trascendenza di Dio: “Sommo e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio, e dammi fede retta, speranza certa e carità perfetta, saggezza e conoscimento, o Signore, affinché io faccia il tuo santo e verace comandamento” (Preghiera davanti al Crocifisso, in K. Esser, Gli Scritti di S. Francesco d’Assisi, Ed. Messaggero, Padova 1982, pp. 452-453).
L’invocazione di Francesco al Crocifisso segnò il momento decisivo della sua crisi. Anche l’espressione “ripara la mia casa che è in rovina”, gettò indicibile gioia nel cuore di Francesco, che si sentì investito della missione di riparare la cappella di S. Damiano. Anche l’episodio di Foligno perfeziona la sua volontà che lottava tra due sofferenze: quella per il disagio provocato all’ambiente familiare; e l’altra per l’ostacolo non superato a riparare la casa del Crocifisso per mancanza di fondi.
Intensificò, perciò, raccoglimento e preghiera. Grande giovamento ricevette dall’ascolto di alcune espressioni evangeliche, diventate di moda per la diffusione ad opera dei movimenti pauperistici. Si ricordano alcune che dividono il cuore: “Se uno non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26); “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 33); “È più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei Cieli” (Mt 19, 24); “Chi avrà lasciato casa fratelli sorelle padre madre figli campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19, 29); “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello sorella e madre” (Mc 3, 35).

La dura decisione
Mentre Francesco era tutto intento a gustare l’immensa gioia interiore, proveniente dalla Parola del Signore, ecco che gli venne notificato, dai messi dei Consoli di Assisi, la citazione di comparizione, avanzata dallo sconsolato padre, Pietro di Bernardone. Senza punto scomporsi e valendosi di una consuetudine, diffusa tra gli eremiti e i penitenti, si autodichiarò servus ecclesiae, sottraendosi così alla giurisdizione dell’autorità civile. Nella piazza, dove il Vescovo amministrava la giustizia, si presentò Francesco tra l’emozione di alcuni e la curiosità di molti. E compì la “dura” decisione della sua conversione.

La prima esperienza apostolica
Il campo della primitiva esperienza è Assisi. Gli ascoltatori sono i suoi concittadini. Nel vederlo e ascoltarlo, alcuni consideravano Francesco un fallito e un pazzo, altri si lasciarono commuovere dalla sua scelta. La parola di Francesco usciva dal cuore per potenza e ricchezza d’amore. All’amore non si resiste, si risponde solo con amore. E Francesco, con parola semplice e d’amore infuocata, riusciva a risvegliare negli ascoltatori più benevoli quella scintilla d’amore divino, insito in ogni cuore, che dalla curiosità porta all’ammirazione e alla sequela.

I primi compagni
Il primo gruppetto era composto da 5 amici, di cui due sacerdoti, Pietro e Silvestro; due laici, Bernardo ed Egidio; e lo stesso Francesco. Dopo l’esperienza in Assisi, per la quale era sufficiente l’autorizzazione del Vescovo per predicare il verbum exortationis, Francesco fu come spinto da un impulso interiore a travalicare i confini del contado, per espandere la fragranza della sua gioia nelle località limitrofe. Improvvisò così una piccola spedizione missionaria, inviando gli amici a due a due per le vicine città.
Nel momento della verifica ad Assisi, Francesco si accorse delle reali difficoltà cui andava incontro il suo ideale e cominciò a pensare ai problemi di organizzazione. Come proposta viene fuori la necessità di dare al gruppo una organizzazione interna e garantirne la struttura giuridica. Per attuarla si decise di andare dal signor Papa, per chiedere la conferma al loro “propositum vitae”. Così, il gruppetto andò a Roma, ottenendo la conferma orale da parte di Innocenzo III.

La fondazione dell’Ordine
La prima Regola, presentata da Francesco nel 1221 per l’approvazione da Roma, è detta non bollata, perché non ricevette alcuna conferma da parte del Papa. In un momento molto provato della sua vita, Francesco riuscì, con la collaborazione di frati esperti e della stessa curia romana, a scrivere una nuova Regola, che Onorio III approvava con la bolla Solet annuere del 29 novembre 1223. Così, dal 1223 nasceva la Regola bollata dell’Ordine dei Frati Minori, che regola a tutt’oggi la vita dei francescani.

L’amore per la Terra Santa
Nel primo Capitolo Generale dei Frati Minori del 1217, Francesco divise il mondo da evangelizzare in “province”: tra le undici appare anche quella di Terra Santa, che comprendeva Costantinopoli e il suo impero, la Grecia e le sue isole, l’Asia Minore, Antiochia, la Siria, la Palestina, l’isola di Cipro, l’Egitto e tutto il resto del Levante. Fu affidata alle cure di Frate Elia, figura preminente nella nascente fraternità, sia per il suo talento organizzativo, sia per la sua vasta cultura. Nel 1219, lo stesso Francesco volle visitare almeno una parte della Provincia di Terra Santa. Durante la sua presenza tra i Crociati, sotto le mura di Damietta, incontrò il Sultano d’Egitto, Melek-el-Kamel, nipote di Saladino il Grande.

Il Natale di Greccio
Amore e fantasia in Francesco vanno sempre insieme, per il suo animo naturalmente poetico. Lo si evidenzia principalmente nel Natale del 1223, in cui lo spirito poetico spinge Francesco a rappresentare l’evento storico dell’Incarnazione, che gli ricordava la discesa sulla terra dello stesso Dio, rivestito di umiltà povertà e innocenza, quasi a simboleggiare i tre voti della scelta esistenziale. Rappresentazione che spiritualmente si può leggere anche come un peana di ringraziamento per il dono ricevuto dell’approvazione della Regola dalla Chiesa, pochi giorni prima (29 novembre!). Così, nel bosco di Greccio, Francesco rievoca per la prima volta la rappresentazione natalizia: nasce il Presepe! Della sua vita, forse, questo sembra l’“episodio più delicato e anche più ardito”, da cui prende inizio l’arte nuova della pedagogia “realistica”, sganciata dall’imperante simbolismo: la rievocazione dei fatti evangelici o la Bibbia dei poveri.

L’ “ultimo sigillo”
Il Natale non è disgiunto dalla Pasqua: ontologicamente la Pasqua precede e perfeziona il Natale. Di conseguenza, il Natale rivissuto da Francesco non poteva non proiettarsi verso la Pasqua, che, per sé, è sempre preceduta dalla sofferenza della Croce. Così, senza saperlo, Francesco si prepara a ricevere il “sigillo” pasquale sul sasso della Verna. Le sue richieste di “sentire nell’anima” la Croce, e di provare “nel cuore” la gloria della risurrezione vengono inaspettatamente assecondate dal Cristo, che, per lui, inventa il dono delle Stimmate. E così, Francesco, dal 14 settembre 1224, divenne un alter Christus. Il divin Poeta immortala l’evento con la terzina: “Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che le sue membra due anni portarono” (Paradiso, XI, vv. 106-108). Il termine “sigillo”, raffigurante l’Agnus Dei, secondo l’uso dei lanieri, garantiva l’autenticità della merce soltanto dopo il terzo o “ultimo sigillo”. Applicato a Francesco voleva significare che, con le Stimmate o “ultimo sigillo”, la sua santità non aveva bisogno di altra autenticazione.
Dopo l’episodio delle Stimmate, Francesco è certamente stanco e sofferente. Il Vicario Generale frate Elia, insieme al Vescovo Guido di Assisi cercarono di farlo riposare e curare. Venne ospitato a San Damiano da Chiara e le sue Sorelle. E qui, Francesco compose il suo capolavoro Il Cantico delle creature o, meglio, Il Cantico del Creatore.

La morte
Gli ultimi due anni di Francesco furono certamente segnati con più profondità da “sorella sofferenza” sia per le Stimmate e sia per tutte le altre malattie del corpo. Nella primavera del 1226, mentre si trovava a Siena, sententosi mancare, dettò un “piccolo” Testamento. Dopo, mentre si trovava nel convento delle Celle a Cortona, ne fece scrivere un altro, l’ultimo, e volle che fosse legato alla Regola. Dalle sorgenti del fiume Topino, nei pressi di Nocera Umbra, dove si trovava, Fancesco si fece trasportare ad Assisi, alla Porziuncula, per esalare l’ultimo respiro al tramonto del 3 ottobre 1226. Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi e sostato in San Damiano, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio, da dove, nel 1230, la salma venne trasferita nell’attuale basilica, due anni dopo la sua canonizzazione da parte di Gregorio IX con la bolla Mira circa nos del 19 luglio 1228, fissando la festa liturgica al 4 ottobre.

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