Antiochia, 10 dC. – † Tebe, 93 dC.
Figlio di pagani, Luca appartiene alla seconda generazione cristiana. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro medico», è soprattutto l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Al suo Vangelo premette due capitoli nei quali racconta la nascita e l’infanzia di Gesù. In essi risalta la figura di Maria, la «serva del Signore, benedetta fra tutte le donne». Il cuore dell’opera, invece, è costituito da una serie di capitoli che riportano la predicazione da Gesù tenuta nel viaggio ideale che lo porta dalla Galilea a Gerusalemme. Anche gli Atti degli Apostoli descrivono un viaggio: la progressione gloriosa del Vangelo da Gerusalemme all’Asia Minore, alla Grecia fino a Roma.
Protagonisti di questa impresa esaltante sono Pietro e Paolo. A un livello superiore il vero protagonista è lo Spirito Santo, che a Pentecoste scende sugli Apostoli e li guida nell’annuncio del Vangelo agli Ebrei e ai pagani. Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana così come ha preso atto che la venuta del Signore non è imminente. Dischiude dunque l’orizzonte storico della comunità cristiana, destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo. Secondo la tradizione, Luca morì martire a Patrasso in Grecia.
Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi
Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino
Emblema: Bue
Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.
APPROFONDIMENTO
San Luca col suo Vangelo ha voluto imprimere alla storia dell’uomo, considerata dal filosofo greco Eraclito come «un giuoco di dadi fatto da bambini» (frammento 52, un senso in Gesù Cristo, il coordinatore di quel groviglio di eventi, salvatore dal male e dall’assurdo che si annida nelle vicende umane, l’«evangelizzatore» della speranza, della libertà e della gioia. Questa citazione del cardinal Ravasi racchiude in sintesi la portata del grande evangelista Luca, dal nome già indicativo, portatore di luce. Luca (in greco Loukás; Antiochia, 10 dC.; † Tebe, 93 dC.) è l’evangelista autore dell’omonimo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. A quanto pare non conobbe direttamente Gesù, ma fu un fedele seguace di Paolo e suo compagno nel secondo e terzo viaggio di Paolo. Anche se il suo ruolo nella Chiesa primitiva non appare come di primo piano, la sua importanza indiretta è fondamentale: grazie in particolare agli Atti degli Apostoli ci ha permesso di conoscere l’evoluzione e la storia delle comunità cristiane dei primi decenni. La sua festa è celebrata il 18 ottobre; il suo emblema è il bue. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa.
Le fonti storiche e le Sacre Scritture
Nei Vangeli e negli Atti, Luca non viene esplicitamente nominato. Assumendo però la sua paternità degli Atti degli apostoli , appare come protagonista implicito di parte della predicazione di Paolo descritta nelle cosiddette “sezioni noi” (At 16,10-17; 20,15-21; 27,1-28,16): in esse la narrazione passa dalla terza persona (p.es. andò, andarono) alla prima persona plurale (andammo), lasciando intendere che l’autore fosse protagonista degli eventi narrati. Nelle lettere paoline, Luca viene citato fugacemente tre volte (Col 4,14; Fm 24; 2Tim 4,11), confermando l’ipotesi desumibile da At che fosse uno stretto e fedele collaboratore di Paolo. Altre informazioni sono presenti in alcune opere di autori cristiani successivi, la cui storicità non appare però sempre certa.
La vita
Secondo il cosiddetto Prologo antimarcionita a Marco (II sec., testo lat. e gr.), Luca era nato ad Antiochia (di Siria) da famiglia siriaca, non ebrea, ed esercitava la professione di medico (v. anche Col 4,14). Non è chiaro se prima di aver aderito al cristianesimo fosse stato o meno un simpatizzante del giudaismo (proselito): dato però che l’annuncio cristiano aveva inizialmente luogo principalmente tra gli Ebrei e solo in seguito (con Paolo) tra i pagani greco-romani, la prima ipotesi è più verosimile. Sia dalle indicazioni del Prologo, sia dallo stile delle opere attribuitegli (Lc e At), Luca sembra aver avuto una robusta formazione greco-ellenista, che costituiva la cultura ufficiale del mediterraneo orientale dell’epoca, elemento che sarebbe in accordo col medio-alto stato socio-economico corrispondente alla professione esercitata. Il greco nel quale sono redatti i suoi scritti è fluente ed elegante, mostra un’ottima conoscenza della Bibbia greca (Settanta) e, di tanto in tanto, affiorano punti di contatto con il modo di scrivere degli storici greci del suo tempo. Non sono note con chiarezza le modalità della sua adesione al cristianesimo. Secondo il Canone muratoriano (circa 170) non conobbe direttamente Gesù, cosa che sarebbe confermata dalle ricerche presso i testimoni oculari accennate nell’incipit del suo Vangelo (1,1-4). È verosimile che abbia conosciuto il cristianesimo nella sua città natale, Antiochia, attorno agli anni 40, dove era presente una florida comunità cristiana e dove Paolo arrivò attorno al 44. Attorno al 375 Epifanio[1] lo identifica con uno dei settanta discepoli inviati in missione da Gesù (Lc10,1), ma si tratta probabilmente di una leggenda tardiva. Altre tradizioni tardive e leggendarie lo identificano con l’anonimo discepolo di Emmaus (Lc 24,13-35) o con Lucio di Cirene (At 13,1). Le “sezioni noi” degli Atti suggeriscono la sua partecipazione al secondo viaggio di Paolo (iniziato attorno al 50 e durato circa 4-5 anni, con partenza da Antiochia e predicazione nelle attuali Turchia e Grecia) e a successivo terzo viaggio (collocato attorno al 54-58 con le stesse mete del precedente), che termina con l’arrivo a Gerusalemme dove Paolo viene arrestato attorno al 57-58 e detenuto a Cesarea. Sempre la narrazione in prima persona suggerisce la sua presenza di fianco a Paolo durante il suo viaggio verso Roma, in attesa di essere giudicato dall’imperatore, e dove rimase in una sorta di arresti domiciliari per almeno due anni. Durante questo soggiorno forzato di Paolo a Roma, attorno al 60-62, la vicinanza di Luca all’apostolo sarebbe testimoniata dai tre passi succitati (Col4,14; Fm 24; 2Tim 4,11), contenuti però in lettere la cui attribuzione paolina non è del tutto condivisa. Secondo il Prologo antimarcionita, Luca rimase celibe tutta la vita e non ebbe figli, e morì (senza accenni a un suo martirio) a Tebe, in Beozia (nell’attuale Grecia), all’età di 84 anni, e lì sarebbe stato anche sepolto. Secondo Gaudenzio di Brescia (IV secolo, PL XX,962) e Gregorio di Nazianzo invece fu martirizzato a Patrasso (sempre nell’attuale Grecia) assieme all’apostolo Andrea. Secondo quando riportato da San Girolamo (De viris illustribus 7), le sue ossa furono trasportate a Costantinopoli. Le sue spoglie giunsero poi a Padova, dove tuttora si trovano nella basilica di santa Giustina; solo la testa è invece conservata a Praga.
Scriba e Medico
Dante lo ha definito lo “scriba della mansuetudine di Cristo” per il predominio, nel suo Vangelo, di immagini di mitezza, di gioia e di amore. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro medico». La qualifica di medico attribuita a Luca viene confermata, secondo gli studiosi, dall’esame interno delle sue opere. La sua cultura e la preparazione specifica erano sicuramente note tra le comunità di cui faceva parte; potrebbe addirittura avere curato la Madre del Signore. Certamente la sua cultura generale e la sua esperienza degli uomini erano piuttosto notevoli. Una lunga tradizione lo vuole originario di Antiochia, tanto da essere denominato “il medico antiocheno”, ed è per questo patrono di tutti i medici e i chirurghi.
Patrono dei pittori e iconografo
Un’antica tradizione cristiana dice che Luca fu il primo iconografo e che dipinse quadri della Madonna, di Pietro e Paolo. La tradizione che vuole Luca pittore e iniziatore della tradizione artistica cristiana sorge nel contesto della controversia iconoclastica (730-843). Al di là della speculazione teologica sui passi biblici dell’Esodo e del Deuteronomio che esplicitamente avversano la raffigurazione del divino, sorse tra il VIII e il IX secolo una ricerca minuziosa delle antiche tradizioni che avvalorassero l’idea di un’origine apostolica dell’uso delle effigi sacre. Tali racconti riportano l’esistenza di personaggi che si preoccuparono di eseguire ritratti delle figure più importanti che ruotarono attorno a Gesù durante la sua vita, conservando la memoria del loro aspetto terreno. In questo contesto si portava l’esempio della Immagine di Edessa dove secondo la tradizione cristiana il volto di cristo rimase impresso su di un lino fatto dono al re armeno Abgar V di Edessa. I ritratti eseguiti da Luca sarebbero stati conservati per secoli a Roma e a Gerusalemme, dando il via ad una vera e propria scuola del ritratto religioso. I teologi del periodo scelsero Luca probabilmente perché, tra gli evangelisti, fu quello più accurato nelle descrizioni dei personaggi sacri, finendo con ciò con colmare diverse lacune degli altri “sinottici”. Si aggiunga che fu Luca stesso ad avere premura di ricordare, nel prologo del proprio vangelo, di essere stato molto scrupoloso nel raccogliere informazioni da “testimoni oculari” (1,1-4) e qui si pensa in particolare alla stessa Madre di Gesù. Fu, di fatto, l’unico a inserire nel racconto notizie accurate sulla Vergine e sull’infanzia di Gesù. D’altra parte, il suo ruolo di medico suggeriva una familiarità con la pittura, che nella tradizione tardo-antica e non solo in quella, era ritenuta imprescindibile strumento per la riproduzione, in repertori illustrati, di piante officinali e del corpo delle persone. Agli stessi artisti è stata sempre necessaria una certa competenza in ambito botanico per la confezione dei colori.La più antica attestazione della leggenda è il Trattato sulle sante immagini di Andrea da Creta (VIII secolo), in cui l’autore si dichiara certo dell’accuratezza massima dei ritratti lucani, al contrario di quanto accade con le fisionomie riportate da Giuseppe Flavio nel Testimonium Flavianum. Risulta interessante la testimonianza di Simeone Metafraste (950-1022), che nel suo Menologio (raccolta di vite di santi ordinate secondo il calendario liturgico), oltre ad attribuire a Luca raffinati studi in Ellade ed Egitto, sottolineava come l’evangelista, per le sue opere, si era avvalso di “cera e colori” (la cosiddetta pittura ad encausto, la più diffusa in età antica e in epoca proto-bizantina, prima di essere sostituita dai più versatili colori a tempera), con ciò dimostrando un’insospettabile consapevolezza (almeno per un agiografo) delle trasformazioni della pratica artistica. Ciò fa sospettare che egli conoscesse qualche antico dipinto del genere sopravvissuto all’iconoclastia.
Nell’ambito della competizione tra Roma e Gerusalemme nella promozione e conservazione degli originali lucani, il canonico Nicolao Maniacuzio (1145) associa la qualità del ritrattista dell’evangelista al suo essere di origine greca. Fu, di fatto, la cultura orientale ad accaparrarsi la determinazione ex postdelle caratteristiche stilistiche e tecniche del Luca pittore, tanto che questi apparì poi soprattutto una sorta di iconografo bizantino ante litteram, cioè un pittore di icone su tavole (in particolare di legno di palma). Il giureconsulto Burgundio da Pisa (1153) realizzò una traduzione del Trattato sulla fede ortodossa di Giovanni Damasceno basandosi su un manoscritto greco interpolato con il passaggio dello pseudo-Andrea da Creta sugli originali lucani conservati a Roma e Gerusalemme. Con ciò, la tradizione di Luca pittore trovò una consacrazione ufficiale e autorevole, quella cioè di un padre della Chiesa. Tommaso d’Aquino riprese da Giovanni Damasceno gli elementi teorici per affermare la necessità di rispettare tradizioni venerabili quali quella di eseguire e onorare le immagini sacre.
Sono molte le immagini bizantine a lui attribuite, tra cui:
– L’icona della Madonna di Częstochowa, in latino Imago thaumaturga Beatae Virginis Mariae Immaculatae Conceptae, in Claro Monte, in Slavo ecclesiastico Ченстоховская икона БожиеМатери, Čenstohovskaja ikona Božiej Materi.
– L’icona Theotokos di Vladimir (in greco: Θεοτόκος του Βλαντιμίρ, Theotókos tou Blantimír), detta anche Nostra Signora di Vladimir o Vergine di Vladimir (in russo: Владимирская Богоматерь, Vladimirskaja Bogomater‘).
– La Madonna Costantinopolitana che si trova nella Basilica di santa Giustina a Padova, gelosamente custodita perché molto rovinata. Si racconta che il prete Urio, custode della basilica dei Dodici Apostoli di Costantinopoli, tra l’VIII e il IX secolo l’avrebbe portata a Padova, a santa Giustina, insieme al corpo di Luca e alle reliquie di san Mattia, per sottrarli alla furia iconoclasta.
– Una antica immagine della Vergine, detta Salus populi romani, conservata nella Basilica di Santa Maria Maggiore, nella Cappella Paolina, a sinistra dell’altare centrale. L’icona della Madonna è collocata sull’altare in una cornice di angeli che la recano in gloria, splendendo sul fondo turchino di un cielo di lapislazzuli. Le lettere greche che campeggiano ai lati della Vergine sono, di nuovo, l’abbreviazione del suo titolo di Madre di Dio, affermazione rovesciata e identica della divinità di Gesù.
– La Madonna di san Luca a Bologna.
Le reliquie
Secondo san Girolamo, le ossa di san Luca furono trasportate a Costantinopoli nella famosa basilica dei Santi Apostoli dopo la metà del IV secolo;[24] le sue spoglie giunsero poi a Padova, dove tuttora si trovano nella basilica di Santa Giustina. L’abate del monastero Domenico e il vescovo di Padova Gerardo Offreducci assieme a papa Alessandro III si ritrovarono per certificare che il corpo fosse effettivamente del santo evangelista. La stessa fonte infatti racconta che la sua reliquia giunse fino a Padova assieme a quella di san Mattia al tempo dell’imperatore romano Flavio Claudio Giuliano (361-363); altri scritti invece datano il trasferimento al secolo VIII durante una persecuzione iconoclastica.[24]Una parte del suo cranio fu traslata dalla basilica di Santa Giustina alla cattedrale di San Vito a Praga nel XIV secolo per volontà di Carlo IV di Lussemburgo, allora re di Boemia.[24] Una costola del corpo del santo è stata donata il 17 settembre 2000 al metropolita Hieronymos della Chiesa greco-ortodossa di Tebe.[24] Esiste un’altra reliquia della testa nel Museo Storico Artistico “Tesoro” nella basilica di San Pietro in Vaticano.[25] Un reliquiario contenente un’altra parte della testa di san Luca è custodito a Cremona nella chiesa omonima gestita dai padri barnabiti.