All’inizio del IV secolo, Roma cominciò a cambiare il suo tradizionale aspetto architettonico grazie all’imperatore Costantino e all’attività edilizia da lui favorita. Egli fece costruire la basilica di San Giovanni in Laterano con un battistero e un palazzo che divenne la residenza dei vescovi di Roma.
Cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano è la madre di tutte le chiese dell’urbe e dell’orbe. E’ il simbolo della fede dei cristiani nei primi secoli, che sentivano la necessità di riunirsi in un luogo comune e consacrato per celebrare la Parola di Dio e i Sacri Misteri. La festa odierna, come ben evidenzia la liturgia, è la festa di tutte le chiese del mondo.
Martirologio Romano: Festa della dedicazione della basilica Lateranense, costruita dall’imperatore Costantino in onore di Cristo Salvatore come sede dei vescovi di Roma, la cui annuale celebrazione in tutta la Chiesa latina è segno dell’amore e dell’unità con il Romano Pontefice.
APPROFONDIMENTO
Chiese ancora il prefetto Rustico: “Dove vi riunite?”. Giustino rispose: “Dove ciascuno può e preferisce; tu credi che tutti noi ci riuniamo in uno stesso luogo, ma non è cosi perchè il Dio dei cristiani, che è invisibile, non si può circoscrivere in alcun luogo, ma riempie il cielo e la terra ed è venerato e glorificato ovunque dai suoi fedeli” (Atti del Martirio di S. Giustino e Compagni). Nella sua franca risposta, il grande apologeta S. Giustino ripeteva dinanzi al giudice quel che Gesù aveva detto alla Samaritana: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui nè su questo monte nè in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quel che conosciamo, perchè la salvezza viene dai Giudei. Ma e` giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perchè il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Gv 4,21-24).
La festa di oggi, della dedicazione della basilica del SS. Salvatore o di S. Giovanni in Laterano, non è certamente in contrasto con la testimonianza di S. Giustino e con la parola di Cristo. Salvi infatti il dovere e il diritto della preghiera sempre e dovunque, è anche vero che fin dai tempi apostolici la Chiesa, in quanto gruppo di persone, ha avuto bisogno di alcuni luoghi in cui riunirsi a pregare, proclamando la Parola di Dio e rinnovando il sacrificio di morte e risurrezione di Cristo, in attuazione delle Sue parole: “Prendete e mangiatene tutti; Prendete e bevetene tutti; Fate questo in memoria di me”. Inizialmente queste riunioni venivano fatte nelle case private, anche perchè la Chiesa non godeva ancora di alcun riconoscimento. Ma questo dovette venire abbastanza presto: c’è un singolare episodio all’inizio del secolo III, quando Alessandro Severo diede ragione alla comunità cristiana in un processo contro degli osti, che reclamavano contro la trasformazione di un’osteria in luogo di culto cristiano. La Basilica Lateranense venne fondata da papa Melchiade (311-314) nelle proprietà donate a questo scopo da Costantino di fianco al Palazzo Lateranense, fino allora residenza imperiale e poi residenza pontificia. Sorgeva così la “chiesa-madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe”, distrutta e ricostruita molte volte. Vennero celebrati in essa o nell’attiguo Palazzo Lateranense (ora sede del Vicariato di Roma) ben cinque concili, negli anni 1123, 1139, 1179, 1215 e 1512. “Ma il tempio vivo e vero di Dio dobbiamo esserlo noi”, dice S. Cesario di Arles.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù (Gv 2,13-22).
Le letture bibliche scelte per questo giorno sviluppano il tema del “tempio”. Nell’Antico Testamento (prima lettura, Ez 47), il profeta Ezechiele, dall’esilio in Babilonia (siamo circa nel 592 a.C), cerca di aiutare il popolo a uscire dallo scoraggiamento, dal non avere più una terra e un luogo dove pregare. S’innalza così il suo messaggio – la prima lettura – nel quale il profeta annuncia il giorno in cui il popolo adorerà il suo Dio nel nuovo tempio. Un luogo dove l’uomo innalza la sua preghiera a Dio e dove Dio si avvicina all’uomo ascoltando la sua preghiera e soccorrendolo lì dove chiede: luogo d’incontro. In questo modo il tempio assume il ruolo di Casa di Dio e Casa del popolo di Dio. Da questo tempio, continua il profeta, lui vede sgorgare acqua: “Vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua”. Un’acqua che è dono e che porterà vita, benedizione. Un luogo dove si pratica la giustizia, la sola capace di risanare il popolo.
Fuori da qui
Ogni ebreo maschio era obbligato a salire a Gerusalemme per offrire l’agnello in occasione della Pasqua, e tre settimane prima iniziava la “vendita” degli animali idonei all’offerta (le colombe erano il sacrificio dei poveri (Lv 5,7). I cambiavalute avevano il compito di ricevere le “monete romane” che dovevano essere cambiate con monete coniate a Tiro: non si trattava tanto di una questione di ortodossia religiosa, anche se così era fatta passare. In fondo anche le monete di Tiro riportavano iscritta un’immagine pagana, ma contenevano più argento, quindi valevano di più. A sovraintendere a questo “commercio” c’erano i sacerdoti del tempio, che in questo cambio avevano sempre un profitto. Questo è il contesto che Gesù trova nel Tempio, di preciso nello Hieron, ossia nel cortile esterno del Tempio, il Cortile dei Gentili. Il Tempio propriamente detto è il Naos, il santuario, che sarà citato al v. 19-21. “Fatta una frusta di cordicelle…scacciò fuori dal tempio”: con il flagello Gesù fustiga questo “commercio” presente nel Tempio (lo Hieron). Rovescia i banchi dei venditori e scaccia fuori tutti (cfr Es 32, vitello d’oro).
“Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”: Parole e azioni che rimandano al profeta Zaccaria, il quale annunciava quello che succederà quando il Signore verrà nella città di Gerusalemme: “In quel giorno non vi sarà neppure un cananeo (=mercante) nella casa del Signore” (Zc 14,21).
“Quale segno ci mostri per fare queste cose?” … Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo farò risorgere”. I sacerdoti del tempio chiedono con quale “autorità” Gesù fa questo, e Lui risponde invitandoli a distruggere il tempio (naos) che lui lo farà risorgere. La risposta di Gesù non si riferisce tanto al tempio, ossia a tutto l’edificio, quanto al “santuario” vero e proprio, lì dove c’era la presenza di Dio. “Egli parlava del tempio del suo corpo”. Con la Pasqua di Gesù – con il suo corpo distrutto e risorto – inizia il nuovo culto, il culto dell’amore, nel nuovo tempio (naos), e il nuovo tempio è Lui stesso. Sarà la resurrezione l’evento chiave che renderà i discepoli finalmente capaci di comprendere, e sarà lo Spirito Santo (Gv14,26) a far loro ricordare le cose in modo nuovo.
L’odierna festa della Dedicazione della Basilica del Laterano ci permette di far memoria del cammino del popolo e della costante e fedele premura di Dio. Nello stesso tempo, ci viene ricordato che oggi ciascuno di noi, in Gesù risorto, è “casa di Dio”, perché lo Spirito stesso abita in me, in ciascuno di noi (1Cor 3,16). Solo a essere consapevoli di questo, da una parte ci porta a magnificare il Signore, ma dall’altra ci porta a dire, a volte con dismisura, “Signore, io non sono degno che tu entri nella mia casa…” (Mt 8,8), dimenticando che Lui è già in noi, e che ci accoglie e ci ama non per come vorremmo essere, ma per come siamo, qui, ora. Sono le distrazioni presenti in noi che rendono sfuocato il volto del Signore! Quando impareremo a tenere fisso lo sguardo in Gesù, Autore e perfezionatore della nostra fede, della nostra amicizia con Lui (cfr Eb 12,1-4), allora il nostro volto brillerà della luce che sgorga dal cuore “unificato”. L’equilibrio richiesto non è cosa di un momento, ma è cammino di una vita, di questo continuo rientrare in noi stessi puntando dritti alla “stanza del Re” (cfr Il Castello Interiore, santa Teresa d’Avila).