Al termine dell’Anno liturgico si celebra la 34a domenica del cosiddetto «Tempo ordinario». La solennità, che cade quest’anno Domenica 20 novembre 2022, è dedicata a Gesù Cristo Re dell’universo. In tal modo si vuole sottolineare che Cristo redentore è il Signore della storia, l’inizio e la fine del tempo.
PREGHIERA A GESU’ RE DELL’UNIVERSO
O Cristo Gesù, io ti riconosco per Re universale. Tutto quello che è stato fatto, per te è stato creato. Esercita pure su di me tutti i tuoi diritti. Io rinnovo le mie promesse del Battesimo: rinuncio a satana, alle sue vanità e alle sue opere; e prometto di vivere da buon cristiano. In modo particolare mi impegno di testimoniare sempre con coraggio la mia fede. Cuore divino di Gesù, ti offro le mie povere azioni per ottenere che tutti i cuori riconoscano la tua sacra regalità, e che, in tal modo, il regno della tua pace si stabilisca in tutto il mondo. Amen.
Pater, Ave, Gloria
L’istituzione della festa fu decisa da papa Pio XI, l’11 dicembre 1925, a conclusione del Giubileo che si celebrava in quell’anno. Come ha scritto lo studioso padre Francesco Maria Avidano, la relativa devozione si pone in riparazione del grido blasfemo contro Gesù, riportato dai Vangeli: «Non abbiamo altro re che Cesare».
Nei tre giorni precedenti la solennità di Cristo Re i devoti recitano uno specifico Triduo. Le invocazioni domandano in particolare che il Cuore di Gesù trionfi su tutti gli ostacoli al regno del suo amore. Mediante l’intervento della Madonna, poi, si auspica che tutti i popoli – disuniti dalla ferita del peccato – si sottomettano all’amore di Cristo.
Papa Leone XIII, l’11 giugno 1899, consacrò la Chiesa, il mondo e tutto il genere umano a Cristo. La formula dell’orazione, se viene recitata pubblicamente nella solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, fa acquisire l’indulgenza plenaria.
L’atto di consacrazione è ricco di richiami all’amore di Cristo per l’intera umanità. Un amore che si è reso visibile proprio nella totale donazione di se stesso sulla croce. La preghiera è anche una richiesta di perdono collettivo e recita fra l’altro: «Molti, purtroppo, non ti conobbero mai; molti, disprezzando i tuoi comandamenti, ti ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbi misericordia e degli uni e degli altri e tutti quanti attira al tuo sacratissimo Cuore. O Signore, sii il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da te, ma anche di quei figli prodighi che ti abbandonarono».
APPROFONDIMENTO
Nel 325 si tiene il primo Concilio ecumenico nella città di Nicea in Asia Minore. In questa circostanza viene definita la divinità di Cristo contro le eresie di Ario: “Cristo è Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”. 1600 anni più tardi, nel 1925, Pio XI proclama che il modo migliore per vincere le ingiustizie è il riconoscimento della regalità di Cristo. “Poiché le feste – scrive – hanno una efficacia maggiore di qualsiasi documento del magistero ecclesiastico, esse infatti istruiscono tutti i fedeli e non una sola volta ma annualmente, e raggiungono non solo lo spirito ma i cuori” (Enciclica Quas primas, 11 dicembre 1925). La data originaria era l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi” (cfr. Enciclica Quas Primas), ma con la nuova riforma del 1969 viene spostata all’ultima domenica dell’Anno Liturgico, divenendo chiaro che Gesù Cristo, il Re, è la meta del nostro pellegrinaggio terreno. I testi biblici cambiano in tutti e tre gli anni, e questo permette di cogliere compiutamente la figura di Gesù.
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Sopra di lui c’era anche una scritta: “Costui è il re dei Giudei”.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. L’altro invece lo rimproverava dicendo: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. E disse: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,35-43).
Ultima tappa
Celebriamo oggi l’ultima domenica dell’Anno liturgico, chiamata solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’universo. Questa meta ci era stata indicata nella prima domenica di Avvento e oggi vi giungiamo; e dato che l’anno liturgico rappresenta la nostra vita in miniatura, questa esperienza ci ricorda, e ancor prima ci educa, al fatto che siamo in cammino verso l’incontro con Gesù, Sposo, quando Egli verrà quale Re e Signore della vita e della storia. Stiamo parlando della sua seconda venuta. La prima è nell’umiltà di un Bimbo deposto in una mangiatoia (Lc 2,7); la seconda è quando tornerà nella gloria, alla fine della storia, venuta che oggi celebriamo liturgicamente. Ma c’è anche una venuta intermedia, quella che stiamo vivendo noi oggi, in cui Gesù si presenta a noi nella Grazia dei suoi Sacramenti e nel volto di ogni “piccolo” del vangelo (cfr “Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli…Mt 18,2; quando siamo invitati a riconoscere Gesù nel volto dei fratelli e delle sorelle, il tempo in cui siamo invitati a trafficare i talenti ricevuti, ad assumerci ogni giorno le nostre responsabilità). E lungo questo cammino, la liturgia si offre a noi quale scuola di vita per educarci a riconoscere il Signore presente nella vita quotidiana e prepararci per l’ultima sua venuta.
Una festa che svela il cammino
L’Anno liturgico è il simbolo del cammino della nostra vita: ha un suo inizio e ha un suo termine, nell’incontro con il Signore Gesù, Re e Signore, nel regno dei Cieli, quando vi entreremo attraverso la porta stretta di “sorella morte” (san Francesco). Ebbene, all’inizio dell’anno liturgico (la I domenica di Avvento), ci è stata mostrata in anticipo la Meta verso cui avremmo mosso i nostri passi. Come se in vista di un esame ci fossero state date, un anno prima, le risposte alle domande! Questo sarebbe stato un esame truccato; nella liturgia, invece, questo è un dono di Gesù, Maestro, perché ci permette di sapere quale strada intraprendere (Gesù, Via), quale pensiero seguire (Gesù, Verità), da quale speranza lasciarci animare (Gesù, Vita, cfr Gv 14,6).
Il testo del vangelo ci presenta il Re in croce, tra due ladroni. Se si ripensa all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, tra canti e danze (cfr Lc 19,28-40), si rimane stupiti di come alla fine si presenterà nel “trono della Croce”. E anche qui si ritrova con un ladrone che ironizza sulla sua regalità – “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi”. L’altro, invece, dirà: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”, riconoscendo che Gesù è Re. La forza della regalità di Gesù è proprio in ciò che il “buon ladrone” ha colto: l’amore. Un amore senza confini, misericordioso, riflesso di quella regalità con la quale Gesù fu accolto in Gerusalemme: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino” (Zc 9,9).
Se stesso o gli altri?
Gesù non mette davanti “se stesso”, come invece chiedevano i suoi accusatori: “Ha salvato altri! Salvi se stesso se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”, v. 35; poi i soldati, “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” v. 37; infine il primo ladrone, “Se Non sei il Cristo? Salva te stesso…”, v. 39.
Gesù non è venuto per servirsi, ma per servire; non è venuto per servirsi del “suo potere” ma per donarsi con tutto se stesso per gli altri. Per salvarli. Questa è la regalità di Gesù, e per questo non è capita. È la regalità dell’amore, del perdono, del servizio che Gesù è venuto a portare e che grazie alla Croce ha vinto.