Don Giovanni Gregorini fu parroco della chiesa romana di San Benedetto, presso il Gazometro dal 1942 al 1984, per oltre quarant’anni. Nel 1943, il trentenne don Gregorini aveva appena preso le redini della parrocchia di san Benedetto, quando si ritrovò a soccorrere un gruppo di ebrei in fuga dai nazisti durante la razzia degli ebrei di Roma, il 16 Ottobre del 1943; vennero accolti e ospitati fino al 3 marzo del ’44, quando la chiesa stessa fu bombardata e quasi completamente distrutta.
Il parroco don Gregorini accogliendo quelle persone disse: “E’ appena arrivato l’ordine di farvi entrare”. Una testimonianza che la S. Sede si mosse, poche ore dopo il rastrellamento, tanto da diramare alle parrocchie di Roma l’ordine di proteggere gli ebrei in fuga.
Attilio Di Veroli e gli altri membri della sua famiglia, insieme ad altre due famiglie e ad altri ebrei vennero accolti in chiesa, senza esitazioni, intrecciando un rapporto umano ed un’amicizia intensissima. Don Gregorini, in seguito, avrebbe avuto l’ingrato compito di riconoscere le salme dei fucilati alle Fosse Ardeatine accompagnando i familiari di Attilio e di suo figlio Michele, il più giovane martire dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, a riconoscere i corpi dei loro congiunti caduti per mano della barbarie nazista. La vicenda di don Gregorini, priva finora di riconoscimenti se non una targa posta nel dopoguerra dentro la chiesa, dalla Comunità Ebraica Romana, rappresenta un esempio particolarmente significativo di come, nell’ora più buia dell’umanità, ebbe inizio una nuova fase nei rapporti tra ebrei e cristiani, per una familiarità nuova e improvvisa, indotta dalle circostanze, in condizioni in cui una delle due parti era braccata e rischiava la vita. Tutto questo non è stato senza conseguenze “sull’avvio e sulla ricezione del dialogo”. Dopo i bombardamenti della guerra la chiesa di San Benedetto venne ricostruita, e don Gregorini continuò a esserne il parroco. Fu un sacerdote noto, riconosciuto per i suoi meriti pastorali, ma dei suoi meriti come salvatore degli ebrei braccati non sembra abbia raccontato molto. Forse, gli sembrava, come ad altri salvatori, di aver fatto il giusto e di non doversi vantare. Ma i riconoscimenti sono importanti, perché rappresentano un esempio per il resto del mondo oltre che una gratificazione per chi li riceve.