Una Piazza San Pietro affollata da circa 60 mila fedeli accoglie, alle 10 di questa mattina, Papa Francesco che il giorno dopo le dimissioni dal Policlinico Gemelli non rinuncia a presiedere la celebrazione della Domenica delle Palme che apre la Settimana Santa. Ai piedi dell’obelisco, il Papa benedice i rami di ulivo che tanti stringono nelle mani a cui segue la lettura del brano del Vangelo di Matteo che descrive l’episodio dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme mentre la folla acclamava: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Poi i concelebranti, cardinali, vescovi e sacerdoti, salgono in processione, lungo il corridoio tra le fila dei fedeli, verso il sagrato della Basilica per dare inizio alla Messa, seguiti da Francesco in papamobile. Ciascuno porta con sè un ramo di palma intrecciato, il palmurello, simbolo di pace. Celebrante all’altare è il cardinale Leonardo Sandri, vice decano del Collegio Cardinalizio.
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
La liturgia di questa domenica rievoca le ultime ore della vita di Cristo, fino alla morte. E c’è una frase, l’unica pronunciata da Gesù sulla croce, che ci dà la misura della profondità della sofferenza da lui vissuta: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Sono le parole che il Salmo responsoriale ripropone, che tornano nel brano del Vangelo di Matteo sulla Passione di Gesù, e che Papa Francesco pone al centro della sua omelia. Il Papa ricorda che le sofferenze patite da Gesù sono state di tipo fisico, dalla flagellazione fino alla crocifissione, e sofferenze dell’anima come il tradimento, lo scherno, la fuga dei discepoli. In tutte le circostanze, osserva il Papa, Gesù poteva contare sulla vicinanza del Padre. Poi “accade l’impensabile; prima di morire Egli grida: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. E commenta:
Ecco la sofferenza più lacerante, è la sofferenza dello spirito: nell’ora più tragica Gesù prova l’abbandono da parte di Dio. Mai, prima di allora, aveva chiamato il Padre con il nome generico di Dio. Mai. Padre… Per trasmetterci la forza di quel fatto, il Vangelo riporta la frase anche in aramaico: è l’unica, tra quelle dette da Gesù in croce, che ci giunge in lingua originale. L’evento è reale, è l’abbassamento estremo, cioè l’abbandono del suo Padre, l’abbandono di Dio. Il Signore arriva a soffrire per amore nostro quanto per noi è difficile persino comprendere. Non è facile capire questo… Vede il cielo chiuso, sperimenta la frontiera amara del vivere, il naufragio dell’esistenza, il crollo di ogni certezza: grida “il perché dei perché”.
Gesù prova l’abisso della lontananza da Dio, ma non è la fine
Francesco prosegue spiegando che il verbo abbandonare nella Bibbia “compare in momenti di dolore estremo”, “nelle più drastiche lacerazioni dei legami”. Gesù che ha caricato tutto il male del mondo sulla sua croce, alla fine “ha provato – afferma il Papa – la situazione a Lui più estranea: la lontananza di Dio”. Lo ha fatto per noi, per essere sempre al nostro fianco, per non lasciarci mai soli. Quello di oggi “non è uno spettacolo”:
L’ha fatto per me, per te, perché quando io, tu o chiunque altro si vede con le spalle al muro – è brutto quello… vedersi con le spalle al muro -, si vede perso in un vicolo cieco, sprofondato nell’abisso dell’abbandono, risucchiato nel vortice dei tanti “perché”, senza risposta, ci sia qualcosa di speranza. Lui per te, per me. Non è la fine, perché Gesù è stato lì e ora è con te: Lui che ha sofferto la lontananza dell’abbandono per accogliere nel suo amore ogni nostra distanza. Perché ciascuno di noi possa dire: nelle mie cadute, ognuno di noi è caduto tante volte… e ognuno di noi può dire: nelle mie cadute, nella mia desolazione, quando mi sento tradito o ho tradito gli altri; scartato o ho scartato gli altri; abbandonato o ho abbandonato gli altri, pensiamo che Lui è stato abbandonato, tradito, scartato. E lì troviamo Lui.
L’amore di Cristo ci spinge a guardare agli scartati di oggi