Caleruega, Spagna, 1170 – Bologna, 6 agosto 1221
PREGHIERE A SAN DOMENICO DI GUZMAN
Nato nel 1170 a Caleruega, un villaggio montano della Vecchia Castiglia (Spagna), si distinse fin da giovane per carità e povertà. Convinto che bisognasse riportare il clero a quella austerità di vita che era alla base dell’eresia degli Albigesi e dei Valdesi, fondò a Tolosa l’Ordine dei Frati Predicatori che, nato sulla Regola agostiniana, divenne nella sostanza qualcosa di totalmente nuovo, basato sulla predicazione itinerante, la mendicità (per la prima volta legata ad un ordine clericale), una serie di osservanze di tipo monastico e lo studio approfondito. San Domenico si distinse per rettitudine, spirito di sacrificio e zelo apostolico. Le Costituzioni dell’Ordine dei Frati Predicatori attestano la chiarezza di pensiero, lo spirito costruttivo ed equilibrato e il senso pratico che si rispecchiano nel suo Ordine, uno dei più importanti della Chiesa. Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle grandi penitenze, il 6 agosto 1221 muore circondato dai suoi frati, nel suo amatissimo convento di Bologna, in una cella non sua, perché lui, il Fondatore, non l’aveva. Gregorio IX, a lui legato da una profonda amicizia, lo canonizzerà il 3 luglio 1234.
Etimologia: Domenico = consacrato al Signore, dal latino
Emblema: Stella in fronte, Giglio, Cane, Libro
Martirologio Romano: Memoria di San Domenico, sacerdote, che, canonico di Osma, umile ministro della predicazione nelle regioni sconvolte dall’eresia albigese, visse per sua scelta nella più misera povertà, parlando continuamente con Dio o di Dio. Desideroso di trovare un nuovo modo di propagare la fede, fondò l’Ordine dei Predicatori, al fine di ripristinare nella Chiesa la forma di vita degli Apostoli, e raccomandò ai suoi confratelli di servire il prossimo con la preghiera, lo studio e il ministero della parola. La sua morte avvenne a Bologna il 6 agosto.
APPROFONDIMENTO
«Era di media statura ed esile di corpo; aveva un bel viso e la carnagione rosea; i capelli e la barba tendevano al rosso; gli occhi erano belli. Dalla sua fronte e di tra le ciglia, irradiava come uno splendore che a tutti ispirava rispetto e simpatia. Rimaneva sempre sereno e sorridente, tranne quando era addolorato per qualche angustia del prossimo. Aveva lunghe e belle mani e una voce forte e armoniosa. Non fu mai calvo, ma aveva la corona della rasura tutta intera, cosparsa di qualche capello bianco».
A presentarlo così in tutto il suo fascino umano e soprannaturale è la beata Cecilia Cesarini, che da san Domenico di Guzman nel 1220 aveva ricevuto il santo abito religioso. Il medesimo fascino verso di lui lo sentirono quelli che lo conobbero di persona o soltanto ne sentirono raccontare, così da mettersi alla sua sequela, per vivere più intensamente sulle sue orme, la sequela Christi.
“Innamorato di Cristo”
Era nato, Domenico di Guzman, a Caleruega nella vecchia Castiglia, da Felice di Guzman e da Giovanna d’Aza, nel 1171. Ancora fanciullo, era stato affidato allo zio Prete perché venisse introdotto nei primi elementi del sapere e alle Verità della Fede. Fin dalla sua giovanissima età – dicono i biografi – ardeva di uno sconfinato amore a Gesù. A 15 anni, passò a Palencia per frequentare le scuole – le arti liberali e la Teologia – nella città.
Al termine degli studi, fu ordinato Sacerdote ed entrò (1196-1197) nel Capitolo dei Canonici di Osma, per invito dello stesso Priore, Diego di Azevedo. Vita di studio e di preghiera, di raccoglimento e di celestiale purezza distinsero Domenico nei primi anni di Sacerdozio (e poi per sempre). Dante Alighieri che sentì, quasi cento anni dopo, il fascino di lui, pensando a questo periodo di silenzio, già scrisse: «Domenico fu detto; e io ne parlo / sì come de l’agricola che Cristo / elesse all’orto suo per aiutarlo» (Paradiso XII, 70-72).
Dio lo preparava a una grande missione. Quando nel 1201 Diego diventò Vescovo di Osma e subito dovette partire per un incarico in Danimarca, si scelse come compagno di viaggio lo stesso Domenico: nei dintorni di Tolosa, i due viaggiatori scoprirono il dilagare dell’eresia catara: dal nome della città di Alby, dove si erano insediati, gli eretici saranno in seguito chiamati “albigesi”.
Era, la loro, una collezione di gravissimi errori, radicati nella negazione dell’Incarnazione del Figlio di Dio, nel rifiuto fondamentale di Gesù, come Uomo-Dio. Domenico una notte discusse a lungo con l’oste che lo ospitava, un cataro, e lo convertì alla Chiesa Cattolica. Comprende che il bisogno di Verità in quella terra e nel suo tempo era grandissimo: decise con il Vescovo Diego di darsi alla loro conversione. Anche le popolazioni nordiche d’Europa (“i cumani”) ancora pagane lo spingevano a farsi missionario.
Scesi entrambi a Roma, nel 1206, Papa Innocenzo III orientò Domenico a dedicarsi alla conversione degli albigesi. Rimasto presto solo per la morte di Diego, Domenico non si ritirò di fronte all’impresa immane di affrontare degli avversari implacabili e agguerriti. Dante ne scriverà: «In picciol tempo, gran dottor si feo… / Poi con dottrina e con volere insieme, / con l’officio apostolico si mosse, / quasi torrente ch’alta vena preme» (Paradiso XII, 85, 97-99). In una parola, il “vir canonicus” che era stato fino ad allora, nell’osservanza di una regola di preghiera, si fece vir totus apostolicus. Uomo di apostolato, di predicazione, mai lasciando però la preghiera e la contemplazione, in una mirabile sintesi di vita e di azione.
Stabilitosi a Fanjeaux, in un’umile casetta (che c’è ancora), vivendo pressoché solo per circa dieci anni, dal 1206 al 1215, con pubblici dibattiti, colloqui personali, trattative, predicazione, opera di persuasione, preghiera e penitenza, soprattutto con l’autorevolezza di una vita intensamente conforme a Gesù solo, l’unico sconfinato Amore della sua esistenza, con la forza della devozione alla Madonna, Domenico portò a compimento un’opera straordinaria, che si impone agli avversari: “Incendiario di amore a Cristo” – come lo definirà Georges Bernanos – conquistatore di amore a Lui per amor suo.
Il Fondatore
A cominciare dal 1215, a Domenico si unirono alcuni amici, presi dallo stesso suo ideale: contemplare Gesù-Verità, trasmettere agli altri Gesù-Verità. Il suo stile di vita è splendido, come narrano i testimoni: «Domenico si dimostrava dappertutto uomo secondo il Vangelo, nelle parole e nelle opere. Durante il giorno, nessuno era più socievole, nessuno più affabile con i fratelli e con gli altri. Di notte, nessuno era più assiduo e più impegnato nel vegliare e nel pregare. Era assai parco di parole e, se apriva bocca, era o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio nella predicazione. Questa era la sua norma che seguiva e raccomandava agli altri».
Ecco, Domenico di Guzman parlava o con Gesù o di Gesù. Meraviglioso. Era la vita secondo “la sapienza della croce”, per “Gesù Cristo e Lui crocifisso” (1Cor 2,1-8). Con i suoi amici, che ne condividevano l’ideale, nacque così uno dei più grandi Ordini della Chiesa, l’Ordine dei Predicatori – i Domenicani – che Papa Onorio III il 22 dicembre 1216 approvò in modo definitivo e lanciò nel mondo a conquistare i fratelli a Cristo, tramite lo studio, la contemplazione e la predicazione di Gesù Verità: «Contemplari. Contemplata aliis tradere».
Scriverà Padre Lacordaire (1802-1861): «Si rispose a Domenico come si era risposto a Pierre l’Ermite: si divenne Frati predicatori come prima si era divenuti crociati. Le università d’Europa andarono a gara nell’offrire a Domenico i loro docenti che prima della bolla di Onorio III non disponeva che di 16 collaboratori, fondò 60 conventi popolati di uomini scelti e di una schiera entusiasta di giovani. Amavano Dio, lo amavano veramente. Amavano il prossimo più di se stessi. Erano anime appassionate».
Rapidamente Domenico disseminò i suoi “figli” in Europa avviandoli a occupare i centri universitari, come Bologna e Parigi. Viaggiando senza posa, da Tolosa a Roma, da Bologna a Parigi (anche la piccola Asti, la mia città, ebbe il Convento domenicano fondato personalmente da lui!) per diffondere e consolidare la sua opera, in appena 5 anni, riempì l’Europa dei suoi “bianchi” Frati, i predicatori della Verità, che la gente del popolo chiamava “i Frati di Maria”, per la loro devozione straordinaria alla Madonna. I loro nomi illustri partono da lui e giungono sino a noi, da san Tommaso d’Aquino a Savonarola, da san Pio V a Garrigou-Lagrange.
Il 6 agosto 1221, Domenico di Guzman va all’incontro con Dio promettendo ai suoi Frati (cf. Responsorio “O spem miram”) che sarebbe stato più utile loro in Cielo che sulla terra. Appena 13 anni dopo, nel 1234, Papa Gregorio IX, che l’aveva conosciuto di persona, lo iscrisse tra i Santi. L’elogio più alto di lui venne da Dio Padre stesso a santa Caterina da Siena, la sua più illustre “figlia”: «San Domenico è l’immagine viva del mio Verbo Incarnato, Gesù… Io ho generato questi due figli, uno, Gesù, per natura; l’altro, Domenico, per amore. Per dono mio speciale, furono in Domenico somiglianti a quelle di Gesù le fattezze naturali del volto e della persona».
Davvero l’irresistibile fascino che lungo i secoli ha fatto dire a diversi giovani, messisi alla sua scuola, come Maestro Tommaso d’Aquino: «Io sono degli agni della santa greggia / che Domenico mena per cammino, / u’ ben s’impingua, se non si vaneggia» (Paradiso X, 94-96). Proprio così, alla scuola di san Domenico ci si fa grandi Santi, a patto che non si vaneggi.