Primo secolo dell’èra cristiana
PREGHIERE A SAN BARTOLOMEO APOSTOLO
I vangeli sinottici lo chiamano Bartolomeo, e in quello di Giovanni è indicato come Natanaele. Due nomi comunemente intesi il primo come patronimico (BarTalmai, figlio di Talmai, del valoroso) e il secondo come nome personale, col significato di “dono di Dio”.
Da Giovanni conosciamo la storia della sua adesione a Gesù, che non è immediata come altre. Di Gesù gli parla con entusiasmo Filippo: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth. Vieni e vedi”. Ed ecco che si vedono: Gesù e Natanaele-Bartolomeo, che si sente dire: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Spiazzato da questa fiducia, lui sa soltanto chiedere a Gesù come fa a conoscerlo. E la risposta (“Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”) produce una sua inattesa e debordante manifestazione di fede: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Quest’uomo diffidente è in realtà pronto all’adesione più entusiastica, tanto che Gesù comincia un po’ a orientarlo: “Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico credi? Vedrai cose maggiori di questa”.
Troviamo poi Bartolomeo scelto da Gesù con altri undici discepoli per farne i suoi inviati, gli Apostoli. Poi gli Atti lo elencano a Gerusalemme con gli altri, “assidui e concordi nella preghiera”. E anche per Bartolomeo (come per Andrea, Tommaso, Matteo, Simone lo Zelota, Giuda Taddeo, Filippo e Mattia) dopo questa citazione cala il silenzio dei testi canonici.
Ne parlano le leggende, storicamente inattendibili. Alcune lo dicono missionario in India e in Armenia, dove avrebbe convertito anche il re, subendo però un martirio tremendo: scuoiato vivo e decapitato. Queste leggende erano anche un modo di spiegare l’espandersi del cristianesimo in luoghi remoti, per opera di sconosciuti. A tante Chiese, poi, proclamarsi fondate da apostoli dava un’indubbia autorità. La leggenda di san Bartolomeo è ricordata anche nel Giudizio Universale della Sistina: il santo mostra la pelle di cui lo hanno “svestito” gli aguzzini, e nei lineamenti del viso, deformati dalla sofferenza, Michelangelo ha voluto darci il proprio autoritratto.
Patronato: Diocesi Campobasso-Boiano
Etimologia: Bartolomeo = figlio del valoroso, dall’aramaico
Emblema: Coltello
Martirologio Romano: Festa di san Bartolomeo Apostolo, comunemente identificato con Natanaele. Nato a Cana di Galilea, fu condotto da Filippo a Cristo Gesù presso il Giordano e il Signore lo chiamò poi a seguirlo, aggregandolo ai Dodici. Dopo l’Ascensione del Signore si tramanda che abbia predicato il Vangelo del Signore in India, dove sarebbe stato coronato dal martirio.
APPROFONDIMENTO
San Bartolomeo, pur nella scarsità delle informazioni che lo riguardano, resta comunque davanti a noi per dirci che l’adesione a Gesù può essere vissuta e testimoniata anche senza il compimento di opere sensazionali. Straordinario è e resta Gesù stesso, a cui ciascuno di noi è chiamato a consacrare la propria vita e la propria morte. Bartolomeo è uno dei dodici apostoli che Gesù chiamò al suo seguito nell’evangelizzazione della Palestina e, dopo la sua morte e resurrezione, costituì capi della Chiesa da lui fondata. Questo apostolo è menzionato soltanto nelle liste sinottiche dei dodici e nella lista degli apostoli in Atti 1.
Bartolomeo o Natanaele?
Il suo nome, Bartolomeo, significa “figlio del valoroso”. Secondo la maggior parte degli studiosi, però, sarebbe in realtà Natanaele (in ebraico “dono di Dio”): così viene indicato nel Vangelo di Giovanni. A cominciare dal sec. IX la chiesa siriaca ha identificato l’apostolo Bartolomeo con Natanaele, nativo di Cana in Galilea, che viene ricordato solo dal quarto vangelo in due punti (1, 43-51; 21,2). Natanaele doveva essere il nome personale mentre Bartolomeo il cognome o meglio un soprannome? Il suo nome è chiaramente un patronimico, perché formulato con esplicito riferimento al nome del padre. Infatti, si tratta di un nome di probabile impronta aramaica, bar Talmay, che significa appunto “figlio di Talmay”.
Il suo profilo evangelico e il senso teologico della sua figura
Null’altro si conosce delle origini di Natanaele-Bartolomeo all’infuori di quanto narra il Vangelo di Giovanni. Durante uno sposalizio a Cana di Galilea, Andrea conduce suo fratello Simone e Filippo vi conduce Natanaele presentandoglielo come profeta e fornendo anche il nome, il cognome e il paese di provenienza ( Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret ). Natanaele reagisce scetticamente, probabilmente perché egli condivide l’antagonismo campanilistico esistente fra le due località vicine ( Cana e Nazaret ), ma Filippo lo invita a fare l’esperienza diretta che gli avrebbe consentito di superare l’iniziale scetticismo.A prima vista quella di Natanaele-Bartolomeo sembrerebbe una figura “secondaria”, quasi sempre eclissata da personalità più forti. Ma nel Vangelo di Giovanni troviamo un episodio che invece lo vede protagonista e che offre numerosi spunti di riflessione: è la chiamata dell’apostolo. Natanaele si trova seduto all’ombra di un fico quando viene raggiunto dall’amico Filippo che con tono entusiastico gli dice «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth». Bartolomeo è però scettico, diffidente, tanto che risponde con sprezzante incredulità: «Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?». E’ un uomo concreto e ragiona secondo i canoni dalla tradizione: conosce benissimo quell’insignificante agglomerato di casupole che si trova a pochi chilometri da casa sua e gli pare incredibile che un posto simile, mai menzionato nell’Antico Testamento, possa aver dato i natali al Messia, il liberatore di Israele che tutti attendono. Natanaele ha lo sguardo pessimista e un po’ frettoloso di chi si ferma all’apparenza. Ma si ricrederà presto. Infatti, incontrandolo, Gesù dice di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità»: è una straordinaria attestazione di fiducia che non ha uguali in tutti i Vangeli. L’uomo, infatti, ne resta spiazzato: «come mi conosci?» domanda. E Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse ti vidi mentre eri sotto il fico». Questa frase tocca nel profondo il cuore di Bartolomeo: coglie forse una domanda inespressa, un pensiero nascosto, testimoniando come Gesù sappia leggere nelle pieghe più segrete dell’interiorità. Fatto sta che l’ex-scettico si trasforma nel volgere di un istante in un fervente seguace di Cristo: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio. Tu sei il re d’Israele!» afferma convinto. Ma ora è il maestro a smorzare i toni: «Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico, tu credi? Vedrai cose ben più grandi di queste». Una risposta che talvolta viene citata come esempio dell’ironia presente nel Vangelo di Giovanni. Bartolomeo fu testimone del promo miracolo di Gesù alle nozze di Cana. Bartolomeo crebbe all’ombra di Gesù, che egli dapprima come discepolo e poi come apostolo seguì fedelmente in tutte le peregrinazioni della Giudea, della Samaria e della Galilea. Assieme ai suoi discepoli vide miracoli e guarigioni ed assise nel cenacolo all’ultima cena di Gesù che lì istituì l’eucaristia ed il sacerdozio. Fu presente all’ascensione di Gesù che dalla cima del monte si sollevò al cielo. Fu accanto a Maria nel cenacolo, ove gli apostoli raccolti in preghiera ricevettero lo Spirito santo in forma di tremolanti fiammelle sopra ciascuno di loro.
La predicazione e il martirio
Secondo la tradizione l’apostolato San Bartolomeo dopo la Pentecoste fu attivissimo, perché la tradizione posteriore gli attribuisce lunghi viaggi missionari, pur non potendo stabilire nulla di preciso. Usciti dal cenacolo, gli apostoli si diedero ad evangelizzare le terre che furono teatro della missione di Gesù e dei suoi prodigi. Si presentava davanti a questo sparuto manipolo di arditi e decisi missionari il mondo intero. A Bartolomeo toccò la Licaonia, che è parte della Cappadocia, in seguito passò nell’ India superiore ed in varie regioni del Medio Oriente. Entrò poi nell’Armenia ove fu coronato dal martirio di Albanopoli. Qui per provare le verità annunciate, liberò numerosi ossessi, guarì malati, diede la vista ai ciechi e non accettò i numerosi doni di cui gli si voleva fare omaggio e volle solamente la distruzione degli idoli e l’accettazione delle verità di fede da lui predicate. Intorno alla sua morte vi sono opinioni diverse tra gli antichi scrittori che narrano le sue gesta ed il susseguente martirio. Ippolito scrisse che fu crocifisso col capo all’ingiù e sotto furono bruciati cumuli di erbe verdi e fetide per soffocarlo con il fumo. Sant’Agostino, S. Isidoro di Siviglia ed il Martirologio di Beda affermano che San Bartolomeo fu scorticato vivo. Il dramma dell’ultima fase della predicazione del grande apostolo si chiuse con il terrificante martirio che ci viene narrato da Abdia Babilonico. In un tempio di Albanopoli dedicato ad Astarot vi erano molti infermi desiderosi di riacquistare la salute perdita e molti illusi attendevano gli oracoli del demonio. Un giorno San Bartolomeo volle entrare nel tempio ed affrontare Satana che godeva dell’incontrastato dominio. Non appena vi entrò Astarot ammutolì e non continuò le sue opere di guarigione per alcuni giorni. I sacerdoti del tempio, preoccupati, si rivolsero ad un altro demonio chiamato Berith che interrogato sull’interruzione di Astarot rispose che San Bartolomeo, apostolo del vero Dio, era entrato nel tempio e teneva incatenato il demonio con fasce di fuoco. Nel frattempo la fama di San Bartolomeo era cresciuta e molte persone gli portavano infermi, malati e posseduti dal demonio per farli curare. A San Bartolomeo si rivolse anche l’amministratore della provincia dell’Armenia e fratello del re, per far guarire la figlia precedentemente portata ad Astarot. Dopo l’ennesima importante guarigione, i sacerdoti di Astarot si rivoltarono istigando il re Astiage che, vista la rovina verso cui era andato il tempio, ordinò che San Bartolomeo fosse prima flagellato e poi appeso in croce a testa all’ingiù con del fuoco che lo soffocasse. Poiché il Santo resistette a queste atrocità il re comandò che fosse scorticato vivo dalla testa ai piedi. Le sole due membra che restarono illese, gli occhi e la lingua servirono all’apostolo per gli ultimi bagliori della sua missione apostolica prima di essere decapitato.
Le reliquie di san Bartolomeo
Dopo la sua morte nella città di Albanopoli, ove fu scuoiato vivo, le sue spoglie vennero portate in Mesopotamia dall’imperatore Anastasio I, ma durante il periodo anticristiano fu gettato in mare con tutto il sarcofago dagli infedeli preoccupati per l’enorme afflusso di fedeli attorno alla sua tomba. Il sarcofago non affondò ma fu trasportato dalla corrente fino all’isola di Lipari. Lì andò il Vescovo Agatone che ne diede sepoltura e fece erigere sulle spoglie una chiesa. San Bartolomeo è oggi titolare della cattedrale di Lipari e patrono principale delle isole Eolie. Con l’invasione musulmana della Sicilia le cattedrali cristiane furono saccheggiate e le ossa dell’Apostolo furono sparse sull’isola ove esse erano sepolte. Raccolte da un eremite a cui san Bartolomeo apparve in sonno furono caricate su un bastimento diretto a Salerno e da lì portate a Benevento da Sicardo, principe longobardo nell’838.Nella sede beneventana, il sacro deposito fu sempre conservato con devota e gelosa vigilanza anche in situazioni di grande pericolo, come quando l’imperatore Ottone III nell’anno 1000 ne pretese la consegna. In quell’occasione, al posto del santo, gli fu consegnato il corpo di san Paolino, vescovo di Nola. Accortosi dell’imbroglio l’imperatore cinse la città d’assedio, ma non riuscendo ad espugnarla fece ritorno a Roma, dove peraltro fece edificare una basilica dedicata a San Bartolomeo sull’Isola Tiberina.
Le Quattro ricognizioni delle reliquie
La prima ricognizione delle reliquie originali, conservate quindi a Benevento, fu fatta nel 1338 dall’arcivescovo Arnaldo da Brusacco durante un concilio provinciale. Le ossa, dopo essere state mostrate singolarmente ai vescovi ed al popolo accorso, furono riposte in una pregiata cassa di bronzo dorato che, seppur rovinata dai bombardamenti del II conflitto mondiale, ancora si conserva nel museo diocesano.
La seconda ricognizione fu fatta dall’Arcivescovo di Benevento, Pietro Francesco Vincenzo Maria Orsini (futuro Papa Benedetto XIII), il 13 maggio 1698. Dopo il controllo innanzi a 23 vescovi, magistrati e al popolo ammesso, le reliquie furono riposte in nove ampolle, otto delle quali furono racchiuse nell’urna di porfido, e una, contenente l’intero osso del metacarpo, fu destinata alla venerazione pubblica.
La terza ricognizione fu fatta il 24 agosto 1990 dall’Arcivescovo metropolita Carlo Minchiatti con la seguente bolla arcivescovile: «Attestiamo con la massima garanzia a tutti coloro che esamineranno il presente documento, che noi, per la maggior gloria di Dio onnipotente e la venerazione dei suoi santi, abbiamo proceduto ad una ricognizione di sacri frammenti delle ossa di San Bartolomeo apostolo. Li abbiamo prelevati dal luogo autentico che li custodiva nella basilica dedicata allo stesso santo in Benevento il 24 agosto 1990 e con devozione li abbiamo collocati in una teca di ottone argentato, protetta da un contenitore di cristallo di forma ovale, perfettamente chiusa e legata con un cordoncino di colore rosso e sigillata con il nostro sigillo impresso in cera spagnola e li abbiamo consegnati con facoltà di esporli alla venerazione dei fedeli.
Nel 2001, prima dell’inizio dei restauri della Basilica, l’Arcivescovo di Benevento Serafino Sprovieri indisse la quarta ricognizione canonica delle reliquie. Dall’ampolla vitrea n. 4 furono prelevati alcuni frammenti ossei destinati alla chiesa cattedrale di Lipari e alle sei parrocchie dell’Arcidiocesi di Benevento intitolate all’apostolo.
Patrono dei dermatologi e delle malattie della pelle
San Bartolomeo a motivo del suo cruento martirio, scuoiato vivo, è considerato patrono dei dermatologi e pregato contro le malattie della pelle e le eruzioni cutanee, le infiammazioni e la psoriasi. Nella iconografia lo si vede spesso raffigurato mentre viene scuoiato o con un coltello in mano.La più nota scultura di san Bartolomeo è un’opera di Marco d’Agrate, un allievo di Leonardo, esposta all’interno del Duomo di Milano, in cui è appunto rappresentato scorticato con la Bibbia in mano; l’opera è caratterizzata dalla minuta precisione anatomica con cui viene reso il corpo umano privo della pelle, che è scolpita drappeggiata attorno al corpo, con la pelle della testa penzolante sulla schiena del martire. Michelangelo, nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, lo rappresenta con la propria pelle in mano; sulla maschera di volto che appare su questa pelle, si dice che l’artista abbia voluto porvi il proprio autoritratto.