di Don Fabio Bartoli
Si aggira nel mondo un inquietante fantasma, una malattia dell’anima il cui nome apparentemente seducente nasconde a malapena il malessere che genera, è lo spiritualismo, che potremmo chiamare anche angelismo, ovvero la pretesa di pensare l’uomo disincarnato, come un essere puramente mentale in cui il corpo e tutto ciò che il corpo porta con sé, ovvero la concretezza della realtà che ci determina al di là dei nostri desideri, è solo un peso da ignorare o un fastidio di cui sbarazzarsi al più presto. La cosiddetta ideologia gender è interamente figlia di questa malattia spirituale, ma ad essa appartiene anche la pretesa di possedere le radici della vita con tutto ciò che porta con sé (dalla manipolazione genetica dell’uomo e dell’ambiente, all’eutanasia).
La Chiesa non è immune al contagio di questa malattia che periodicamente è tornata ad inquinare il Cristianesimo. Nei primi secoli si chiamava Gnosi, poi ha assunto altri nomi: Donatismo, Catarismo, Giansenismo eccetera.
Secondo questa visione del Cristianesimo i discepoli di Cristo dovrebbero occuparsi delle cose dello Spirito e lasciare agli uomini del mondo le cose del mondo. Guai a parlare di politica, perché “la politica è una cosa sporca”, guai a pensare di uscire dalle sacrestie, perché “cosa c’entra il vangelo con il mondo del lavoro o della cultura?”, guai a professare pubblicamente la propria fede, perché “la fede è una cosa intima e privata”.
In realtà però il centro della nostra fede è che Dio si è fatto uomo e quindi, per citare il Concilio Vaticano II, “non c’è nulla di autenticamente umano che sia estraneo al cuore dei discepoli di Cristo”. La politica allora diventa la forma più alta della carità, il vangelo è il motore fondamentale della cultura e la fede deve essere professata e praticata in pubblico, altrimenti rapidamente si inaridisce e muore.
Se Gesù non cambiasse radicalmente il mio modo di vivere, se l’incontro con Lui non cambiasse il mio modo di lavorare e di giocare, di studiare e di amare, di ridere e piangere non mi avrebbe davvero redento. Un Gesù che non abbia niente da dire su come mi vesto, su come guadagno i miei soldi, su come impiego il mio tempo non mi interessa, non è il Gesù del Vangelo.
Per questo la Chiesa ha elaborato una precisa “dottrina sociale”, che altro non è che l’applicazione del Vangelo alla gestione della società e dei processi produttivi, in una parola alla politica.
Il nostro Guido ha già cominciato a presentare alcuni lineamenti fondamentali di dottrina sociale, e questo ci sembra talmente importante che vogliamo creare nel nostro sito una finestra specificamente dedicata alla dottrina sociale.
È uno spazio pensato innanzitutto come un luogo di dibattito perché se è vero che i principi fondamentali della dottrina sociale non sono opinabili, perché sono ricavati direttamente dal Vangelo, la loro applicazione concreta però è mutevole, perché si riferisce ad una attualità in continuo mutamento e quindi nessuno può pretendere di derivare da quei principi universali delle conclusioni politiche fisse ed immutabili che pretendano di avocare a sé l’autorità della Chiesa o dello stesso Vangelo.
Si discute non per convincere l’altro, ma per imparare insieme, spero quindi che questo spazio di dibattito, che alternerà la discussione del presente con la definizione dei principi fondamentali, sarà molto frequentato, perché tutti insieme possiamo metterci alla scuola del vangelo ed imparare cosa ha da dirci Gesù sulla concretezza della società e della nostra vita.
Gli ultimi interventi proposti sono riportati qua sotto.
Si sottolinea che tutti gli interventi contengono esclusivamente una opinione personale degli autori.
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